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Usi e costumi: gli uomini e le cose
di Paolo Cassone – Foto
d’epoca
Ø
Il lavoro e i frutti
della terra |
L’Auditorium comunale ha preso il posto di
quello che un tempo fu il Cinema
“CAMPAGNA”. Nel nostro ambito vi abbiamo vissuto veramente le avventure
narrate nel film di Tornatore “Nuovo Cinema Paradiso”. Quanti personaggi
ferlesi, quanta vita, quanta gioventù
e quanti ragazzi vi sono passati. Si aspettava con ansia il venerdì
per vedere i cartelloni del nuovo film in programmazione; dal
cartellone si giudicava se valeva la pena di andare a vederlo o meno.
All’angolo c’era l’uomo che vendeva “a
marruna cauda”, all’interno girava u “zi Turi Fiurellu.”
che vendeva “a calia”, ad ogni bacio tra i protagonisti c’era un
salace commento “do ’mpriacu”
seduto in prima fila cui rispondeva l’omone grosso seduto sulla
panchetta in ultima fila. Le urla di gioia quando il protagonista da noi
detto “u picciottu” vinceva.
Come dimenticare le sedie di latta, sostituite solo col cambio di gestione
del cinema avvenuta negli anni settanta. Il freddo delle serate invernali ed
il caldo delle serate estive. Il gestore
Sig. Campagna spesse volte all’inizio del secondo tempo faceva entrare
i ragazzini che non avevano potuto comprare il biglietto. Altri tempi. Nei tempi
andati, “ u ‘ zi papè ”, sempre in prima fila
nell’organizzazione delle feste ed a farsi garante per le spese, ci rimise un podere, perché con la raccolta delle
offerte non si poterono coprire le spese. La fantasia popolare e qualche
buontempone alle note di una marcia che suonava la banda, appositamente
chiamata, affibbiarono le seguenti parole
“papè, papè, papè e sordi nun ci nè,
papè, papè papè“: Il poveraccio durante una raccolta per l’ennesima
festa, all’udire quel ritornello, tra i lazzi dei monelli, buttò in aria il
secchiello della questua ed abbandonò il paese. A proposito di sciopero. Nell’ormai lontano
1968, in una delle prime assemblee
unitarie tenutesi a Ferla, alla Camera del Lavoro, quando si cominciava a
parlare di unità sindacale, prese la parola un rappresentante della CISL (cislino significava democristiano), proponendo di fare una
manifestazione “democratica” fu
prontamente apostrofato da un giovane, allora CGIL e sedicente comunista, “I
compagni, allora, cosa ci stiamo a fare?” I primi televisori a Ferla, fatta eccezione per
pochissime famiglie, furono acquistati dai patronati sindacali, dalla Società
Operaia e dalle sezioni dei partiti politici alla fine degli anni ‘50. Era
uno spettacolo quello che succedeva in tutti questi luoghi di riunione.
Lazzi, risa, scherzi, liti per le sedie erano il prologo alla serata davanti
al televisore. Gli anziani seguivano con ansia u cumunicatu, i ragazzi
eravamo ammaliati dai personaggi animati del Carosello. Le sere più affollate erano il lunedì per
il film ed il sabato per Canzonissima. Un successo strepitoso ebbero le
avventure western di un serial americano chiamato "La carovana", e
i primi romanzi a puntate che vennero programmati. Quando finiva la
trasmissione il corso si riempiva di popolo come per le processioni pasquali.
Con il migliorare delle condizioni di vita il televisore si diffuse presso
tutte le famiglie e le società perdettero quella funzione di ritrovo, oltre
che di ufficio sbrigafaccende. Nel 1909, dopo il crollo del campanile sinistro della
chiesa di Sant’Antonio e la sua riedificazione, poiché la chiesa stava
prendendo una pendenza pericolosa, fu chiamato un ingegnere di Catania che
suggerì di costruire un contrafforte, per bloccare questa pericolosa pendenza. Il muraglione
è ben visibile e pare che finora abbia
adempiuto al compito per il quale fu edificato dai ferlesi. Allora la
rivalità tra le due chiese principali era notevole e le maestranze facevano a gara per abbellire i templi del
paese. L’elettrificazione a Ferla arrivò nel 1935. Fu
costituito un consorzio con il comune di Cassaro chiamato “Consorzio
idroelettrico del Bibbinello”. Ancora oggi sotto la capanna di legno dove c’è
la postazione della forestale sul fiume Anapo è visibile il
fabbricato che ospitava i macchinari
con i quali si sviluppava la corrente elettrica. Una “saia” incanalava
l’acqua che dava la forza motrice per
far ruotare il macchinario. Quando pioveva, andava via subito la corrente ed
un addetto doveva andare dal paese a pulire la saia ostruita da fango,
fogliame e sterpaglie al fine di ripristinare la condotta d’acqua e la produzione di energia. Il
consorzio è rimasto in attività sino agli anni sessanta quando fu assorbito
dall’ENEL, dopo la nazionalizzazione dell’energia elettrica voluta dall’on. Nenni, nei primi anni dei
governi di centro-sinistra con la Democrazia Cristiana. Chi
ricorda il passamano di S. Antonio? Fino
all’ottobre 1964 la piazza S.Antonio era recintata da un muretto alto circa
un metro dal lato di via Umberto; dal lato di via Vittorio Emanuele non vi
era la gradinata, ma un alto muro con
delle artistiche colonnine ed una cancellata. All’interno della piazza erano
alcuni alberelli di oleandri dai fiori multicolori. Nel passamano
si svolgeva molta parte della vita ferlese. Durante il giorno i ragazzi vi
giocavano a saltare il muretto appoggiandosi con una mano. Nel pomeriggio gli
anziani vi si appoggiavano a prendere il sole. La sera era il luogo di raduno
dei braccianti. Lì aspettavano che qualcuno li ingaggiasse per lavorare il
giorno successivo. Vi si svolgevano i colloqui di affari. Il passamano era
affollato da una punta all’altra. Le donne non osavano passare da questo tratto di via
Umberto, per sottrarsi alle occhiate maliziose di tutti quegli uomini;
avevano escogitato un sotterfugio per oltrepassare i quattro canti: dal ronco
S. Antonio, attraverso un cortile interno della casa dei Vallardita o di don
Tatà La Bruna, passavano al corso Vittorio Emanuele e dalla Piazza Crispi
alla Vanella detta delle Visazze, per via Rudinì, tornavano alla via Umberto,
evitando così di sfilare davanti a quella massa di uomini. Sino
agli anni cinquanta a Ferla i funerali si celebravano o nella chiesa
di S. Sebastiano o in quella di S. Antonio. A seconda del censo della
famiglia del defunto si usava costruire al centro della chiesa una specie di
tempio tutto listato in nero e con fregi dorati detto “u tàrmunu”
ovverosia “talamo” o “catafalco” ove
veniva collocata la bara del defunto. Mentre per i
defunti di basso censo si usava predisporre solo una barella su cui si posava
la cassa col morto e la si copriva con un drappo nero. Questo
catafalco era di proprietà della chiesa di S. Sebastiano e veniva dato in
affitto alle altre chiese ed anche alle chiese dei paesi vicini . Nell’anno 1957, in una fredda giornata di gennaio,
mentre gli operai approntavano “u tàrmunu”
nella chiesa di S. Antonio, il sacrestano, tale E.M , per il gran freddo si era steso a fare un
sonnellino sulla barella dei funerali del popolo di basso censo, coprendosi
con il drappo nero che serviva a coprire la bara. Gli operai conducevano alacremente
il loro lavoro. Ad un tratto, mentre il dormiente sacrista si rigirava nel
suo giaciglio di fortuna, un operaio si girò e lo vide muoversi. Credendo che
fosse il morto che si rigirava nella bara, cominciò ad urlare e a scappare
fuori della chiesa insieme ai suoi
compagni di lavoro. Il sacrista si dannava a chiamarli per rassicurali che
era lui, ma più chiamava, più scappavano ed in pochi secondi erano giunti
alla fine del paese. |